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Editoriale
Dreamtimedancemagazine, redazione nata in una periferia milanese in cui abbiamo la nostra sede operativa. Siamo cresciuti come una redazione giovane, diversa e indipendente, per viaggiare nel mondo della danza e di molto altro, dal balletto al contemporaneo, dal teatrodanza al mixability. Un magazine edito dall'Associazione Culturale Vi.d.A., produttore del Festival Internazionale Dreamtime: danza senza limiti, che della Mixed Abilities Dance ha fatto la sua bandiera. Il magazine si avvale della collaborazione di affermati professionisti, nuove leve, sguardi molteplici sul complesso mondo della danza. Paola Banone, direttrice del festival Dreamtime, coordinatrice del magazine, ricercatrice, da tanti anni compie un lavoro mirato sul mixability e sulla relazione tra danza e sociale.
Direttore del magazine è Claudio Arrigoni, giornalista sportivo e commentatore dello sport paralimpico per Rai e Sky; testimonial dell'intera operazione è Anna Maria Prina, ex direttrice per 32 anni Scuola di ballo del Teatro alla Scala, personalità di spicco della danza italiana, coinvolta dal settembre 2011 nel lavoro con la Cie MixAbility Dreamtime.
09/07/2014
Interviste-Interviste

Frey Faust

Il diritto al movimento

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Intervista a cura di Claudio Marrucci.

Se ci fosse una nuova rivoluzione francese bisognerebbe sicuramente aggiungere a Libertà, Fraternità e Uguaglianza: Movimento. Questa è la straordinaria e innovativa visione del mondo del famosissimo danzatore americano Frey Faust che è diventato un esportatore mondiale di movimento, il cui libro The Axis Syllabus – La rivoluzione del movimento, verrà pubblicato in italiano, in anteprima mondiale, per la casa editrice romana Castelvecchi. Si tratta, è bene dirlo, di un caso unico per il nostro idioma: spesso e volentieri, si cerca infatti, di scrivere e pubblicare nelle lingue di veicolazione mondiale o, almeno, europea (inglese, francese, tedesco e spagnolo). Soprattutto quando si ha a che fare con una comunità come quella dell’Axis Syllabus che forma ogni anno più di duemila danzatori provenienti da oltre trenta nazionalità diverse, grazie ai suoi workshop e stage, che si svolgono in paesi come Italia, Spagna, Austria, Francia, Belgio, Olanda, Germania, Norvegia, Svezia, Russia, Ucraina, Nuova Zelanda, Australia, Brasile, Canada, Stati Uniti… Se si eccettua, un editore on-demand, che rispecchia la diffusione internazionale del libro-oggetto, ma non la funzione del libro-prodotto; la Castelvecchi è la prima casa editrice a livello mondiale che punta su una realtà, ampiamente consolidata, fornendo un servizio, semplice ma efficace: la traduzione. Infatti, nel mondo globalizzato, dove tutto è a portata di click, sfogliare una pagina, respirarne l’odore, perdersi nei suoni ancestrali della lingua madre del lettore… sono valori che non possono essere abdicati all’uso del Google Translator, ovvero all’applicazione della linguistica computazionale e della mera traduttologia. Tradurre, in fondo, rimane pur sempre un’arte, non una scienza. Accade così quello che per migliaia di sociologi e linguisti sembrava impensabile: l’italiano vive, l’italiano esiste, l’italiano r-esiste. Prima e meglio dell’inglese, cinge di lauro il capo dell’Axis Syllabus, traendo forza da quella che, da sempre, è stata la sua debolezza: l’estrema marginalizzazione, il tremendo provincialismo. Del resto, come ci insegna il maestro Faust, la danza è, prima di tutto, dinamica, mutamento, trasformazione dei punti deboli in punti di forza e viceversa. E noi, che da bravi italiani siamo “ballerini”, almeno dai tempi di Bismark – il quale ci accusava di fare troppi “giri di valzer” con il nostro amico-nemico francese – chissà se riusciremo a cambiare a ritmo? E chissà se il libro di Faust ci aiuterà a riprendere la nostra dinamica?

Frey Faust è un danzatore americano che, attualmente, vive a Berlino. Ha ricevuto i suoi primi insegnamenti di danza all’età di otto anni, sotto la guida della madre. Fa parte della seconda generazione di Contact. Ha studiato Mimo, Capoiera, Aikido, percussioni, canto e diverse tecniche di danza. Ha lavorato negli Stati Uniti, Canada, Sud America, Europa, Asia, Africa e Oceania, collaborando con artisti come Gina Buntz, Donald Byrd, Merce Cunningham, Nita Little, Ohad Naharin, Meredith Monk, Janet Panetta, David Parsons, Randy Warshaw e Stephen Petronio.

Maestro, cos'è la danza per lei?
La danza è, probabilmente, un sofisticato strumento dell'evoluzione che ha permesso al corpo umano di progredire nella sua forma attuale. Penso che la danza sia una tecnologia che interagisce con il processo delle emozioni. Credo che le teorie si scontrino con il fatto che danza e musica siano nate insieme per creare il linguaggio. Danza e musica, infatti, sono sinonimi di “linguaggio” e noi possiamo affermare che questa è la prima evidenza culturale del dono dell'intelligenza, ovvero l'interazione cosciente con l'ambiente. La danza è un modo, forse il migliore, per educare il sistema nervoso, per socializzare e per fare in modo che gli individui entrino in relazione con il gruppo e la collettività. La danza è una forma di interazione non competitiva, ma è anche un valore culturale potenzialmente pericoloso. Se si cerca nel dizionario, la danza è una forma di arte muta e fisica che usa motivi e temi, più di quanto fa la musica, per strutturare lo spazio e il tempo, usando il corpo umano come veicolo primario.

Per lei la danza ha più un carattere innato o culturale?
Penso che sia una questione di struttura: credo che il battito del cuore, il fatto che il cervello coordini il corpo attraverso segnali ritmici che provengono dai nervi e arrivano ai muscoli, la specularità binaria del corpo che stabilisce immediatamente un ritmo e rende possibile la comunicazione di simboli. Le variazioni gestuali e il ritmo sono quindi strutturali, insieme con la spinta evolutiva che consiste nel comunicare bisogni e desideri, in modo verbale o meno. Queste, del resto, hanno portato a espressioni sociali e collaborative che ingabbiano l’identità dell’individuo mettendola perciò in questione: stato e gerarchia, riti e religioni, strumenti monetari ed aspettative etiche, tutte loro sorgono dalla costruzione simbolica, quindi dal linguaggio. Tra le prime storiche espressioni di un animale auto-cosciente intimorito dall’universo, bisogna citare il suo io fisico che ha trovato nel movimento ritmico, ripetitivo e collettivo la forma per mostrare riverenza e rispetto… tutto questo ci dice che la danza fa parte di noi. Infatti, è una nostra tendenza quella di esprimerci attraverso l’arte, di accumulare, attraverso le generazioni, metodi sofisticati e tradizioni di manifesti culturali che, di colpo, ci distinguono dagli altri animali. La cultura è ciò che ci rende “umani”. Ma la danza è anche una delle espressioni culturali che fornisce strumenti per capire cose che non possono essere capite in altri modi. Ogni linguaggio contribuisce alla creazione di uno spettro di fattori che allena la conoscenza, tuttavia la danza coinvolge una vastità di organi sensoriali, chiamando in causa diverse aree cerebrali usate anche per la memoria, il ragionamento, l’immaginazione... Così, posso affermare con sicurezza che la danza fornisce un’ampia conoscenza che serve per armonizzare il corpo e la mente con il suo stato interno e con l’ambiente esterno. La danza è un linguaggio cinetico ed esprime emozioni che non possono essere articolate diversamente. Noi possiamo interpretare linguisticamente la parola torsione per riassociare l'espressione del corpo nello spazio, ma ci sarà sempre qualcosa che manca. Se tu sei dentro un corpo in movimento è molto, molto difficile esprimere cosa sta succedendo perché ci sono così tante cose che accadono tutte in un unico istante: infatti i sentimenti e le emozioni non sono mai un colore unico. Tu non sei mai arrabbiato o triste, ma tutto si compone: un po' di ira, un po' di dolore, un po' di gelosia, un po' di... tutto è un nuovo composto chimico. E il tuo corpo può esprimere tutto questo immediatamente senza nessuna interferenza manifesta.

La danza è un rito…
I miti e le religioni, soprattutto dall’avvento del cristianesimo in poi, hanno demonizzato la danza fino a proibire alle persone di danzare. La connessione con il linguaggio originario è stata persa. Il modo in cui la religione ha imprigionato la danza in una forma specifica è stato opprimente. Così, nei vari processi storici e sociali che hanno portato alla ribellione ai dogmi della chiesa, si è lasciato campo aperto alla creatività individuale, fino ad arrivare al paradosso che ora ogni singolo artista può sviluppare un proprio linguaggio senza che nessun altro sia in grado di capirlo. Quindi siamo passati da un linguaggio estremamente codificato a uno criptico, capzioso? e astratto. Dove le antiche tradizioni sono molto forti, per esempio in Africa, dove hanno una tradizione di oltre diecimila anni, si possono vedere folle di persone rispondere immediatamente a un gesto, un suono, un ritmo, una voce. In Occidente, invece, la persona che fruisce la danza educa se stessa a riassociare quegli eventi criptici che sta guardando, per inventarsi una storia che abbia senso: il linguaggio non è più condiviso. E anche se la liberazione delle menti degli individui dall’oppressione della chiesa e dello stato ha permesso l’esplorazione della libertà d’espressione, generando meravigliose opere d’arte, la maggior parte del duro lavoro che coreografi e danzatori dedicano a questi messaggi criptici cade nell’incomprensione di occhi e orecchie. Parte dei motivi dell’incomprensione del pubblico occidentale è che la maggior parte del pubblico è passato ormai a abitudini sedentarie, loro non danzano… loro a mala pena si muovono. La società occidentale, sopprimendo la danza, in appena poche generazioni, ha marginalizzato e messo a rischio la persistenza di uno dei più universali e importanti linguagi. Credo fortemente che la danza debba essere una pratica culturale condivisa e non come qualcosa di esclusivo. Penso che sia un diritto innato; non perché quando nasciamo, abbiamo già “il ritmo nel sangue” (infatti, la danza e il ritmo sono cose che si studiano, si imparano e si affinano nel corso del tempo, come qualsiasi altra cosa che è parte della società umana); ma credo sia un diritto innato perché è un’eredità antica che ha modellato il nostro corpo: una prova è il modo in cui il nostro scheletro si fortifica, o la forma stessa delle nostre ossa.

Nel suo libro, afferma che il movimento e la libera espressione del corpo sono diritti umani fondamentali. L’esercizio di questi diritti come può contribuire al rispetto degli altri?
Rispetto. Ogni volta che tu percepisci qualcosa… bene questa è la base dell’empatia: se provo dolore, questo significa che altre persone possono provarlo. Se io sento che la mia identità è stata compromessa, allora posso immaginare che altre persone possono sentire questo. La questione è che quando ti muovi, inizi a renderti conto, diventi consapevole dei tuoi sensi, la percezione dell’ambiente si fa più fluida e le tue capacità di adattamento crescono, ma cresce anche il bisogno dell’altro, di condividere, di partecipare. Una volta capito che il processo di apprendimento va dal non sapere al sapere, appena ti trovi di fronte un individuo che non sa, sviluppi empatia, ritrovi te stesso a uno stadio precedente. Inoltre, quando diventiamo più consapevoli, sensibili, siamo in grado di interagire con l’ambiente in un modo più delicato, preciso; riconosciamo le espressioni fisiche più velocemente, siamo più sensibili. Per esempio, assaggiamo un cibo e sappiamo subito se fa per noi o meno. Iniziamo a pensare in modo critico. Prodotti chimici? No, grazie. Pubblicità? Non sono sicuro. E cominciamo a misurare, stimare, valutare e diciamo: questo giusto, anche se, forse, non saprei. Oppure: questo è sbagliato, ma qualche volta può andare. Lasciamo i nostri estremismi, pensiamo in modo critico, ma accettando le persone per quello che sono. La danza è un pretesto per un comportamento sociale più evoluto.

Claudio Marrucci