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Editoriale
Dreamtimedancemagazine, redazione nata in una periferia milanese in cui abbiamo la nostra sede operativa. Siamo cresciuti come una redazione giovane, diversa e indipendente, per viaggiare nel mondo della danza e di molto altro, dal balletto al contemporaneo, dal teatrodanza al mixability. Un magazine edito dall'Associazione Culturale Vi.d.A., produttore del Festival Internazionale Dreamtime: danza senza limiti, che della Mixed Abilities Dance ha fatto la sua bandiera. Il magazine si avvale della collaborazione di affermati professionisti, nuove leve, sguardi molteplici sul complesso mondo della danza. Paola Banone, direttrice del festival Dreamtime, coordinatrice del magazine, ricercatrice, da tanti anni compie un lavoro mirato sul mixability e sulla relazione tra danza e sociale.
Direttore del magazine è Claudio Arrigoni, giornalista sportivo e commentatore dello sport paralimpico per Rai e Sky; testimonial dell'intera operazione è Anna Maria Prina, ex direttrice per 32 anni Scuola di ballo del Teatro alla Scala, personalità di spicco della danza italiana, coinvolta dal settembre 2011 nel lavoro con la Cie MixAbility Dreamtime.
10/12/2015
Reviews-Others

A Passing Cloud del Royal New Zealand Ballet

A Roma la 10ª edizione della rassegna Tersicore

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The Anatomy of a Passing Cloud. Coreografia, scenografia e costumi di Javier de Frutos. Musica polinesiana e inglese, testi māori letti da Whare Moke. Luci di Jason Morphett.

Dear Horizon. Coreografia di Andrew Simmons. Musica di Gareth Farr. Scenografia e costumi di Tracy Grant Lord. Luci di Jason Morphett. Passchendaele. Coreografia di Neil Ieremia. Musica di Dwayne Bloomfield. Luci di Jason Morphett.

Selon désir. Coreografia, scenografia e costumi di Andonis Foniadakis. Musica di Johann Sebastia Bach rielaborata da Julien Tarride. Luci di Jason Morphett.

Danzatori del RNZB (ordine alfabetico cognome): Abigail Boyle, Clytie Campbell, Jacob Chown, Hayley Donnison, Damir Emric, William Fitzgerald, Lory Gilchrist, Madeleine Graham, Lucy Green, MacLean Hopper, Kohei Iwamoto, Yang Liu, Tonia Looker, Shaun Kelly, Massimo Margaria, Paul Matthews, Linda Messina, Alayna Ng, Loughlan Prior, Kirby Selchow, Joseph Skelton, Mayu Tanagaito, Shane Urton, Leonora Voigtlander, Tynan Wood, Elisabeth Zorino.

Ad aprire la 10ª edizione della rassegna Tersicore di Daniele Cipriani lo scorso 3 dicembre 2015 presso l’Auditorium Conciliazione di Roma è venuta dagli antipodi del Pianeta la compagnia di balletto nazionale della Nuova Zelanda diretta da poco più di un anno da Francesco Ventriglia, la quale nella stessa data ha, invece, chiuso la propria bimestrale tournée in Europa. Il titolo della serata A Passing Cloud [Nuovola che passa] deriva dal nome māori della Nuova Zelanda, Aotearoa, che vuol dire ‘lunga nuvola bianca’. In un’atmosfera che dalla sceonografia ai costumi, alle musiche la prima coreografia ha portato una colorata carrellata di cultura dell’Oceania, non solo māori, ma che prendeva tutto il Pacifico insulare fino alla Polinesia e a Rapa Nui (Isola di Pasqua). In un cerchio bianco si svolgeva tutta la coreografia, concepita con piccoli quadri d’ensemble, di assoli o di pas de deux e trois, il cerchio ricorda quello che nelle religioni animiste (di cui l’Oceania è tutt’oggi una miniera di studio per gli antropologi) è il ‘cerchio magico’, elemento importantissimo per i rituali e le cerimonie delle tribù polinesiane. Le musiche si susseguivano come il cambio di una frequenza radio sul quale si intercambiavano i danzatori all’interno del cerchio con i loro costumi floreali su sfondo bianco, molto freschi che portavano lo spettatore tra gli atolli dalla sabbia finissima. Canti polinesiani, hawai’iani e māori si sono susseguiti, dai ritmi quaternari del tāmūrē (la tipica danza nuziale trasversale del Pacifico) alla solennità della percussione che nella coreografia diventava quasi la fissità statuaria dei moʻai (monoliti) dell’Isola di Pasqua. Tutta la tradizione dell’Oceania rivisitata e condida dai movimenti della danza contemporanea, in un paio di quadri non perfettamente bilanciati tra stasi e movimento, ma molto ben percepiti e interpretati dalla compagnia.

I due pezzi dei coreografi neozelandesi (la cui preparazione è stata curata anche dall’étoile scaligero Massimo Murru durante la sua esperienza di maître a Wellington, vedi l’intervista di Stefania Ballone per «Dreamtime Magazine», anche in traduzione inglese: http://www.dreamtimemagazine.com/index.php?id_art=640) hanno puntato alla sensibilizzazione e al ricordo dei propri caduti durante la Grande Guerra (1915-1918), ricorrendone il centenario quest’anno. Si è trattato di due coreografie più liriche e neoclassiche (in Dear Horizon si ripristina l’uso della scarpa da punta), in cui molto importante è il ruolo delle interpreti. In Dear Horizon con le punte, che nella migliore tradizione classica allontanano la danzatrice dal piano reale, le donne sono il pensiero, il desiderio e anche la fonte di stimolo e carica dei soldati neozelandesi impegnati lontano dalla patria nelle trincee (ben evidenziate dalla scenografia). Mentre Passchedaele, richiama la battaglia dell’omonimo villaggio del Belgio fiammingo combattuta da giugno a novembre 1917 tra l’impero tedesco e l’impero britannico del Commonwealth, conclusasi in una disfatta per entrambi, per i Neozelandesi Passchendaele corrisponde alla disfatta di Caporaletto per gli Italiani. Nella battaglia molto influente è stata la divisione nezelandese, commemorata in modo particolare nel moderno cimitero del Commonweath di Tyne Cot. La donna qui è reale, è la donna fiamminga che accoglie gli sconfitti neozelandesi nel loro bussare alle porte, evidenziate dalle luci sul palco, che quindi sembrano porte e allo stesso tempo tombe. Molto forti i due pezzi centrali legati alla prima guerra mondiale, soprattutto pieni di significato.

Andonis Foniadakis ha creato un pezzo ‘a piacimento’ (è il significato del titolo francese Selon désir) in cui la forte componente béjartiana dei colori dei costumi, della coreografia che dà l’impressione di libera e addirittura improvvisata. Il pezzo è ispirato alle Passioni di Bach, quella Secondo Giovanni e la più famosa Secondo Matteo, in cui la sofferenza di Cristo si sposta dal piano teologico per diventare la sofferenza e la confusione della società moderna: questo è ben evidenziato dall’abbinamento dei due pezzi dei costumi con colori non complementari o addirittura dissonanti e dai movimenti scattosi, nervosi che passano bruscamente dal salto al pavimento.

Sembrano quattro pezzi staccati gli uni dagli altri, ma in realtà si trova un fil rouge nella volontà della direzione artistica del RNZB di presentare per la prima volta al pubblico italiano una storia della Nuova Zelanda, che forse essa stessa sta pian piano conoscendo: dalla tradizione polinesiana dei Māori, primi abitatori dell’arcipealgo neozelandese, alla prima partecipazione della Nuova Zelanda sulla scena europea e mondiale (la Grande Guerra), fino alla Nuova Zelanda contemporanea, che vive il suo stile di vita occidentale pur essendone geograficamente agli antipodi, testimoniando la sua presenza nel mondo.

Si ringrazia per la concesione delle foto Evan Li.


Domenico Giuseppe Muscianisi