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Editoriale
Dreamtimedancemagazine, redazione nata in una periferia milanese in cui abbiamo la nostra sede operativa. Siamo cresciuti come una redazione giovane, diversa e indipendente, per viaggiare nel mondo della danza e di molto altro, dal balletto al contemporaneo, dal teatrodanza al mixability. Un magazine edito dall'Associazione Culturale Vi.d.A., produttore del Festival Internazionale Dreamtime: danza senza limiti, che della Mixed Abilities Dance ha fatto la sua bandiera. Il magazine si avvale della collaborazione di affermati professionisti, nuove leve, sguardi molteplici sul complesso mondo della danza. Paola Banone, direttrice del festival Dreamtime, coordinatrice del magazine, ricercatrice, da tanti anni compie un lavoro mirato sul mixability e sulla relazione tra danza e sociale.
Direttore del magazine è Claudio Arrigoni, giornalista sportivo e commentatore dello sport paralimpico per Rai e Sky; testimonial dell'intera operazione è Anna Maria Prina, ex direttrice per 32 anni Scuola di ballo del Teatro alla Scala, personalità di spicco della danza italiana, coinvolta dal settembre 2011 nel lavoro con la Cie MixAbility Dreamtime.
08/07/2016

Sara Renda si racconta

Aldo Sancricca da redattore e danzatore ha realizzato questa intervista

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Sara Renda nasce ad Alcamo, in provincia di Trapani. All’età di 11 anni, entra nella Scuola di ballo del Teatro alla Scala, dove si diploma con il massimo dei voti nel 2010. Inizia la sua carriera professionale all’ Opéra National de Bordeaux diretta da Charles Jude. Di li a poco inizia a collezionare una lunga serie di riconoscimenti: la Medaglia di bronzo alla 50ª edizione del prestigioso “International Ballet Competition” di Varna (Bulgaria), nel dicembre 2014 diventa Prima Ballerina e, a distanza di un anno, viene nominata in scena Étoile dell'Opéra National de Bordeaux dal direttore del Ballo Charles Jude e dal direttore generale Thierry Fouquet . E’ la vincitrice del premio Danza&Danza 2015 come miglior "Danzatrice italiana all'estero" e nello stesso anno riceve il "Premio DanzArenzano Arte”.

Nonostante la giovane età ha già danzato un repertorio vastissimo.
Negli anni della scuola si è cimentata nelle coreografie di Nureyev, Kylian, Balanchine e Petit e da Prima Ballerina ha ballato i ruoli principali in:
Roméo et Juliette, Giselle, Don Chisciotte, Schiaccianoci e Bella Addormentata di Charles Jude ; Strawinsky Violin Concerto, I Quattro Temperamenti, Who Cares? di George Balanchine; Il est de certains coeurs di Itzik Galili; Pneuma di Carolyn Carlson; Suite en blanc di Serge Lifar; La Reine Morte di Kader Belarbi.

Come è nata la passione per la danza?
Credo mia madre abbia avuto una grande influenza a riguardo. Fin da piccola, avendo visto in me una particolare predisposizione, mi ha sempre spinta a ballare su qualsiasi tipo di musica. Ho svariati video di me a due anni in cui ballo diverse coreografie da me inventate, imitando gli stacchetti che vedevo nelle varie trasmissioni televisive come 'Non è la Rai'. Da più grande iniziando a muovere i primi passi nella danza classica me ne sono subito innamorata .

Come descriveresti la tua esperienza presso la Scuola di ballo del Teatro alla Scala di Milano?
L’Accademia mi ha dato moltissimo. Per me rappresenta ancora un sogno diventato realtà. Se ripenso a me da bambina ancora ho chiare nella mente le voci degli insegnanti e quell’atmosfera che si respirava nella scuola.
Al contrario di quanto dicono di solito i miei colleghi, non posso dire che sia stata dura, perché per me la danza è sempre stata una grande passione e il fatto che fossero molto severi mi ha semplicemente aiutato a crescere.

Qual è stato il tuo percorso dopo la scuola?
Sono stata molto fortunata, infatti solo dopo poche audizioni sono entrata a far parte della Compagnia Nazionale di Bordeaux, diretta da Charles Jude, a cui sono davvero riconoscente per il suo credere costantemente in me.
Sono ormai passati 5 anni dal mio primo giorno qui e ho vissuto e vivo grandi emozioni in questo teatro ed in questa città meravigliosa. La Francia mi ha regalato tutto quello che l’Italia non mi ha dato.

Come si arriva a diventare Étoile in un teatro importante?
Tanta volontà e tanto amore. Sono dell’idea che la volontà non basti. Sin dalla scuola, quello che gli insegnanti ti dicono è di mettere tutta te stessa in quello che fai, ma ho scoperto con il tempo che se non ami realmente qualcosa non puoi raggiungere i livelli più alti. Mettiamola così: la dedizione permette di raggiungere risultati discreti, ma è l'amore totale che apre tutte le porte, trasformando i sogni in realtà .

Vorresti tornare a ballare in Italia?
Io sono Italiana e, anche se la Francia è stata la nazione che ha creduto subito in me, mi farebbe piacere tornare nel mio paese. Si dice che “non si è mai profeti in patria”; non credo ai proverbi, ma credo in me stessa: se la vita mi vorrà sorprendere riportandomi in Italia ne sarò felice.

Progetti futuri?
Al momento mi preoccupo solo di dare tutta me stessa e di amare quello che faccio. C'è sempre un tempo per raccogliere.

Sogni nel cassetto?
Ballare come Étoile fissa in una delle Opéra più importanti del mondo e diventare un esempio per tutte le ballerine, dimostrando che la meritocrazia a volte trionfa.

Si ringrazia per la concessione delle foto Fulvio Eterno.

 



Aldo Sancricca
30/06/2016

Intervista a Carlo Di Lanno

Stefania Ballone ha intervistato per noi il nuovo Principal dancer del San Francisco Ballet

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Carlo Di Lanno, di origine napoletano, si forma alla scuola di ballo del Teatro San Carlo di Napoli e all’Accademia scuola di ballo del Teatro alla Scala. Entra a far parte del corpo di ballo del Teatro alla Scala, dopo una stagione raggiunge la compagnia Staatsoper a Berlino diretta da Vladimir Malakhov. Rientra dopo un anno alla Scala su proposta del direttore Makhar Vaziev e debutta nei ruoli principali nei titoli di balletto in cartellone, affiancando Polina Semionova e Svetlana Zakharova. Alla fine della stagione decide di partire nuovamente e raggiungere il San Francisco Ballet, dove entra come soloist danzando nella maggior parte dei balletti i ruoli principali a fianco di Mathilde Froustey e Sofiane Sylve. Un mese fa arriva la promozione a Principal dancer.

Il 23 maggio viene ufficializzato che sei stato promosso Principal dancer del SFB. Che cosa significa per te questa promozione?
Significa tanto e niente allo stesso tempo. Ovviamente è un grande traguardo per la carriera di un ballerino ma non cambia la natura del nostro mestiere, che richiede un lavoro serio e disciplinato quotidianamente. Essere Principal vuol dire anzi maggiore pressione perché non sono ammessi errori.

Sei partito due anni fa dall'Italia lasciando il Teatro alla Scala per raggiungere SFB. Cosa pensi di questa compagnia e come ti senti a farne parte?
Sono molto orgoglioso di far parte del SFB e credo vivamente che sia la compagnia migliore in America attualmente. Per me la vastità del repertorio rende il San Francisco Ballet speciale, e allo stesso tempo i ballerini hanno la possibilità di sperimentare stili diversi durante la stagione e talvolta anche nella stessa serata. Questa capacità di passare da un linguaggio all’altro nel giro di pochi minuti rende gli artisti molto forti.

Che prospettive immagini per te all'interno della compagnia?
Non saprei spero di lavorare con coreografi stimolanti e allo stesso tempo interpretare ruoli del repertorio classico. Non mi piace crearmi aspettative, cerco di essere aperto ad ogni possibilità.

Come guardi all'Italia, ai suoi teatri e ai suoi artisti?
In realtà la situazione Italia è sempre la stessa, il patrimonio artistico di Milano e di tutte le città italiane è incredibile. Purtroppo sembra che la danza non sia mai stata tra le priorità in Italia nonostante la presenze nel settore di stelle di fama mondiale che il mondo ci invidia. Ogni anno qualche ballerino italiano lascia La Scala, teoricamente la miglior compagnia di balletto italiana, entrando a far parte di altri teatri con grande successo. Chiaramente i ballerini italiani stanno facendo un ottimo lavoro, non posso dire lo stesso delle compagnie di balletto italiane.

A distanza di due anni dalla tua partenza dalla Scala, Angelo Greco giovane solista scaligero segue le tue orme! Cosa pensi della sua scelta e quindi ora come guardi alla tua di scelta?
Sono molto felice per la scelta di Angelo e sono sicuro il suo percorso sarà tutto in salita. Questa compagnia è un posto fantastico per crescere come artista e danzatore e sono felice di rappresentare “l’italianità” qui con lui.

Quali sono i ruoli in cui hai debuttato quest'anno?
Sono stato invitato come ospite da Francesco Ventriglia con il Royal New Zealand Ballet per interpretare il ruolo di Albrecht in Giselle di Stiefel/Kobborg, ho danzato il principe ne Lo Schiaccianoci e Il Lago dei Cigni di Helgi Tomasson, e il ruolo titolo in Onegin di John Cranko. In più ho avuto la grande opportunità di lavorare con Forshyte per Pas Parts un lavoro creato per l’Opera di Parigi, e riadattato sulla nostra compagnia, e tanti altri balletti di Balanchine, Tomasson, Wheeldon, Ratmansky.

Da principal che tipo di carriera artistica ti piacerebbe fare? Preferenze di ruoli, repertorio, stili, linguaggi, coreografi, compagnie.
Vorrei danzare il repertorio classico finché posso anche se credo che la cosa migliore per un danzatore sia creare dei passi insieme ad un coreografo in sala. Adoro Balanchine. Credo sia stato un genio della danza e ci ha lasciato un patrimonio incredibile di balletti che ancora mettono a dura prova gli interpreti e i ripetitori.

Cosa pensi della danza attuale e come immagini il futuro?
Non credo la danza stia vivendo un ottimo momento. Credo siano pochi i coreografi di rilievo e personalmente molti di questi vivono ancora nell’ ombra dei grandi geni coreografici. Molti ballerini sono solo alla ricerca di fama tralasciando tutto il lavoro che le grandi étoiles hanno messo dietro ogni passo prima di farsi chiamare tali. É un percorso lungo che richiede lavoro e sacrificio e di certo non accade pubblicando foto su Facebook o creando un immagine di se stessi attraverso i social media.

Che consiglio daresti agli artisti che iniziano la propria carriera?
Bisogna essere intelligenti nella scelta dei propri idoli. Sono dell’idea che attualmente tanti ballerini creino un cattivo esempio per giovani danzatori, dal lato professionale e dell’ approccio a questa forma d’arte. Credo che risultati ottimi e duraturi arrivino solo dopo tanto lavoro e dedizione.


Stefania Ballone
08/10/2015

A tu per tu con Massimo Murru

Intervista raccolta da Stefania Ballone.

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Diamo il benvenuto ad una nuova firma che curera' la Rubrica A TU PER TU, una serie di preziose interviste a danzatori, coreografi e personalita' del mondo della danza.
Siamo lieti di ospitare tra i giovani e appassionati collaboratori di dreamtimemagazine.com la ballerina e coreografa Stefania Ballone.
Pescarese, comincia gli studi professionali di danza classica all’Accademia Nazionale di Danza a Roma, frequentando dal 1º al 4º corso accademico. Dal 5º corso frequenta la Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala a Milano, diretta dalla Mª Anna Maria Prina, con la quale prende il diploma accademico di danza classica e la maturità linguistica. Entra subito nel corpo di ballo del Teatro alla Scala; in parallelo intraprende gli studi di Lettere moderne e di Scienze dello spettacolo presso l’Università degli Studi di Milano conseguendone la laurea magistrale. Oltre al percorso di danzatrice prosegue la sua ricerca coreica anche nelle sperimentazioni della danza contemporanea e nella coreografia.

Stefania Ballone ha raccolto la testimonianza di Massimo Murru, sull'esperienza come maestro a Wellington.
Primo ballerino étoile del Teatro alla Scala. La sua fama è riconosciuta a livello internazionale, ha danzato nei più importanti teatri del mondo. Il suo repertorio è incredibilmente vasto: ha interpretato tutti i ruoli classici e ha lavorato con i più grandi coreografi contemporanei. È stato il partner delle più grandi ballerine, in modo particolare di Sylvie Guillem. Da aprile scorso intraprende, per la prima volta, l’attività di maître de ballet presso il Royal New Zealand Ballet, su decisione di Francesco Ventriglia, direttore della compagnia. Ho colto l’occasione per rivolgergli alcune domande sulla sua nuova esperienza.

Hai avuto l’occasione di lavorare per un periodo di tre mesi come maître de ballet per la compagnia del Royal New Zealand Ballet diretta da Francesco Ventriglia. Com’è la compagnia e in che cosa ha consistito il tuo lavoro?
La compagnia è composta da 38 danzatori giovanissimi, dai 18 ai 30 anni, che hanno una grande voglia di fare e di imparare. Non è una compagnia strutturata come la nostra della Scala o come l’Opéra di Parigi. Oltre a dare la lezione alla compagnia ho seguito le prove del balletto in programma. La serata era composta da quattro pezzi. Io ho seguito il balletto Dear Horizon, creazione di Andrew Simmons, un coreografo neozelandese che aveva già lavorato con la compagnia e che attualmente lavora in Germania, e il balletto Salute di Johan Kobborg creato precedentemente per una scuola. Gli altri due pezzi erano The Soldier’s Mass di Jiří Kylián e Passchendaele di Neil Ieremia, anche lui coreografo neozelandese. Questo era un programma della direzione precedente e rappresentava una sorta di omaggio ai soldati neozelandesi arrivati in Europa durante la prima guerra mondiale. Io ho seguito la creazione per cinque coppie e mi dividevo con il resto del lavoro in maniera molto fluida. Inizialmente non sapevo bene come approcciarmi alla lenta fase di gestazione del coreografo, ma ad un certo punto mi sono lanciato ad aiutarlo nel montaggio, ed è andata bene. Ho lavorato non solo con la compagnia, ma ho dato lezione anche per la scuola di ballo. Francesco si è interessato sin da subito alla scuola e ha preso accordi affinché gli allievi più grandi abbiano già la possibilità di studiare con la compagnia. La lezione dura un’ora e mezzo e nei giorni degli spettacoli un’ora e un quarto con un riscaldamento di mezz’ora prima della recita. Mi sono occupato anche della distribuzione dei cast e delle sostituzioni, entrando nel merito di decisioni artistiche insieme a Francesco. Di prassi, ogni programma debutta prima a Wellington e poi va in tour in tutta la Nuova Zelanda, quindi sono stato anche in tournée con la compagnia. Parallelamente al programma principale c’è anche un piccolo gruppo di danzatori, scelti dal direttore, con spettacoli di quaranta minuti circa, per promuovere la danza in giro per la Nuova Zelanda. Ho seguito anche la preparazione di questi spettacoli.

Com’è fare il maestro?
Sinceramente non ho mai pensato di poter insegnare perché la vedo una cosa molto difficile, non si improvvisa. Io ho voluto fare quest’esperienza a Wellington per mettermi alla prova ed è stato interessante, divertente, ma sicuramente faticoso e a volte un po’ frustrante perché vorresti riuscire a dare, ad aiutare e non sempre i risultati arrivano o comunque ci vuole tempo. Quando sei danzatore devi pensare solo a te stesso, quando fai l’insegnante ti rivolgi a più persone molto diverse tra loro e devi cercare di dare e di aiutare in qualche modo tutti. Come danzatore so benissimo che ci sono giornate in cui si riesce e giornate in cui si riesce meno; a volte il maestro si dimentica del lavoro quotidiano del ballerino, mentre dovrebbe essere paziente soprattutto quando ha a che fare con giovani senza ancora molta esperienza. Io davo il massimo e loro assorbivano enormemente. Tutto ciò era molto gratificante, ma allo stesso tempo mi rendevo conto di essere in una condizione di grande responsabilità.

Quanto il bagaglio di un’artista può essere d’aiuto per diventare un bravo maestro?
Il requisito fondamentale per insegnare è la predisposizione a dare, ad aiutare il danzatore; si può avere tutto il bagaglio e si può essere stato il più grande ballerino del mondo, ma se non si ha voglia di dare, non serve a molto. Sicuramente ci può essere un appagamento personale nel riuscire a trasmettere un insegnamento ai ballerini, ma è il risultato quello che conta. Bisogna dare, mettersi a disposizione, non si può pensare di entrare in sala ricordando il grande ballerino che si è stato e bearsi del proprio vissuto. Io non mi sono mai messo in condizione di parlare della mia carriera, non ho mai fatto sfoggio di danzatori e coreografi con cui ho lavorato. Non lo faccio come danzatore, tantomeno come maestro: è una cosa che non mi piace fare, non mi viene. Non è il modo giusto perché in qualche modo allontana, crea una certa distanza tra maestro e danzatore. Se si vuole vedere cosa un maestro ha fatto, oggi è molto facile attraverso internet: tutti possono vedere chi sei stato, cosa hai danzato e con chi.


Che tipo di lavoro sta impostando Francesco con la compagnia?
Francesco è interessato a dare una maggiore visibilità alla compagnia. Il Royal New Zealand Ballet ha una sua storia e un suo repertorio, ma geograficamente è molto lontano da tutto. Francesco vuole “accorciare” un po’ le distanze con un repertorio nuovo e balletti nuovi: è riuscito ad avere, per esempio, In The Middle Somewhat Elevated ed di William Forsythe che la compagnia non ha ancora danzato. Così facendo Francesco dà loro la possibilità di lavorare con coreografi che hanno fatto la storia del XX secolo della danza. Inoltre attraverso le tournées internazionali la compagnia potrà avere maggiore visibilità: per la prima volta il Royal New Zealand Ballet verrà in tour in Europa, in Inghilterra e in Italia, a novembre. Francesco si sta muovendo molto per stringere relazioni e contatti anche in Australia e in Asia orientale. Allo stesso tempo sta cercando di smuovere un certo “torpore” nel modo di lavorare: prima erano abituati a preparare un balletto per volta, ora Francesco ha ridistribuito il lavoro in maniera tale che possano provare più titoli nello stesso periodo. Tutto ciò credo che sia estremamente efficace per la compagnia, anche se all’inizio non è stato facile per i ragazzi.
 
Pensi che questo lavoro ti abbia dato e ti possa dare delle soddisfazioni anche in futuro?
Penso di sì, comunque è la mia prima esperienza, forse è presto poter dire come sarà in futuro. Sicuramente ho avuto soddisfazioni e un senso di appagamento quando ho visto dei risultati, anche se è un tipo di appagamento diverso rispetto a quando vai in scena come danzatore. In scena c’è l’applauso del pubblico che rappresenta la più grande soddisfazione; al contrario, il maestro dà e in qualche modo non deve aspettarsi un riconoscimento. Poco tempo fa mi sono sentito in dovere di ringraziare una mia insegnante della scuola dopo anni, perché mi ha dato degli insegnamenti che ancora oggi ho nella testa. Se le persone hanno stima di un maestro e riconoscono il suo lavoro, è gratificante, ma non si può pretendere che lo facciano. Bisognerebbe fare il lavoro senza pensare neanche di poter piacere a tutti, o meglio, mai abbassare un certo tipo di standard per piacere a tutti i costi. Un danzatore che ha capito l’insegnante, riesce ad esprimere quello che esattamente vuole, chiede addirittura di lavorare con lui e lo ringrazia è la cosa più bella e gratificante. Penso ai grandi maestri che ho avuto la fortuna di incontrare, ad esempio Loipa Araújo [ndr. già prima ballerina e maître de ballet al Balletto Nazionale di Cuba, è stata insegnante ospite anche al Teatro alla Scala, attualmente è maître de ballet all’English National Ballet sotto la direzione di Tamara Rojo]. Ogni volta che sapevo che c’era, non solo io, ma tantissimi come me non vedevano l’ora di poter lavorare con lei e penso a quanti ho visto cambiare grazie a questi grandi maestri. Personalmente sono interessato a questo tipo di approccio e mi piacerebbe poter aiutare i danzatori nel loro lavoro.

Cosa hai portato a casa da questa esperienza?
Innanzitutto mi sono messo in gioco in una cosa che non avevo ancora mai fatto e questo credo sia molto stimolante. Porto nel cuore gli aspetti umani di questa esperienza e tanti piccoli episodi – anche divertenti – legati ai danzatori, che mai avrei immaginato di poter vivere. Come maître mi sono rapportato molto con i ragazzi e ho tentato il possibile per cercare di capirli e di aiutarli, con tutte le paure, le preoccupazioni e i dubbi del caso.

Si ringrazia Domenico Giuseppe Muscianisi per la collaborazione alla revisione dei testi.

Si ringrazia per la concessione delle foto Brescia-Amisano Teatro alla Scala e Gilles Tapie.





Stefania Ballone
25/08/2015

Gaia Andreanò e Mattia Semperboni.

I giovani ballerini del Teatro alla Scala si raccontano.

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Sono giovanissimi, tra i più giovani nel corpo di ballo del Teatro alla Scala.
Classe ’95, Gaia Andreanò da Palermo e Mattia Semperboni da Milano, entrambi si sono diplomati alla Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala di Milano nel giugno 2014 sotto la direzione del Mº Frédéric Olivieri e da subito sono stati ammessi tra gli aggiunti del corpo di ballo scaligero. Nella scorsa stagione 2014/15 li abbiamo visti in ruoli da solisti: insieme hanno debuttato nelle recite dell’8 e 12 aprile nel pas de deux dei contadini in Giselle (primo cast, con Maria Eichwald e Claudio Coviello nei ruoli principali. Vedi la recensione per «Dreamtime»: http://www.dreamtimemagazine.com/index.php?id_art=555).

Nell’estate 2015, giovedì 6 agosto, sono stati ospiti e interpreti a Villa Pantelleria di Palermo per la Serata di Gala tra Danza e Arte, organizzata dalla maestra Candida Amato in occasione del quarantesimo anniversario della fondazione da parte di Ermanno Aurino e Jacques Beltrame (primi ballerini del Teatro Massimo di Palermo) della scuola di danza che oggi a Palermo porta il loro nome. In qualità di ex allieva, Gaia Andreanò è stata invitata a esibirsi e ha scelto come proprio partner Mattia Semperboni.

Quando avete cominciato a danzare insieme? ritenete importante l’affinità caratteriale?
Gaia e Mattia: Ci conosciamo dall'età di undici e dodici anni, perché abbiamo frequentato lo stesso corso in Accademia. Durante gli anni di scuola abbiamo studiato passo a due assieme, ma la nostra prima vera esperienza è stata con il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala. Un'anno dopo che siamo entrati in compagnia ci è stato affidato il ruolo del passo a due dei contadini in Giselle, una vera sfida per il nostro debutto. Non avevamo l'esperienza dei nostri colleghi, eravamo la coppia più giovane: diciannove anni appena compiuti. È importante avere un buon rapporto con il proprio partner di lavoro. Dipende un po’ da che ruolo si interpreta, ma la danza è fatta di emozioni: se già si è in sintonia, è un gran passo avanti.

La vostra partecipazione al Gala Aurino-Beltrame a Palermo. Chi ha scelto i pezzi per il Gala di Palermo? 
Gaia: Quando la direttrice della scuola «Aurino e Beltrame» (nonché mia madre), Candida Amato, mi ha chiesto di ballare al suo gala, ho subito pensato di fare un passo a due con Mattia.
Mattia: Abbiamo scelto insieme il passo a due del Corsaro, cercando qualcosa che potesse farci divertire e allo stesso tempo metterci alla prova!

In che cosa differisce (se differisce, secondo voi) un’esibizione sul palco scaligero durante la stagione ballettistica da un’esibizione in una serata di gala? 
Gaia: Ballare al Teatro alla Scala è come ballare a casa mia: cerco di scoprire nuove sensazioni, nuove emozioni e ogni balletto della stagione mi dà la possibilità di conoscer quel palco sempre di più. Il calore del pubblico mi fa sentire totalmente a mio agio, come se conoscessi ogni singola persona presente in sala. Partecipare a una serata di gala in un'altra città e in un'altro palcoscenico è una sensazione un po’ diversa. La sfida sta nel riuscire a trasmettere le mie emozioni anche a quel pubblico che non può vedere un balletto della Scala tutti i giorni; quando ci spostiamo dal nostro teatro è come ricominciare daccapo: bisogna creare un legame con il nuovo palco e con il suo pubblico.
Mattia: Ballare sul palco di un teatro più o meno grande oppure in altre circostanze e esempio all'aperto, come è capitato con il gala Aurino e Beltrame, non cambia molto: l’emozione, l'ansia e l'adrenalina sono le stesse. Certo, quando si balla nel proprio teatro, ci si sente più ‘a casa’.

Siete ballerini o fate i ballerini? Come si esplicita, cioè, l’arte coreica nella vostra vita? 
Gaia: Quando mi chiedono il mio mestiere, rispondo «Sono una ballerina». La danza non è solo un mestiere che pratico per vivere, ma è la mia passione, a volte una necessità. Ogni mia azione o mio pensiero in qualche modo sono sempre collegati alla danza. Mi sento molto fortunata, perché non tutti hanno il lavoro e la passione che coincidono.
Mattia: Essere ballerino non è un modo di fare. In scena si recita — è vero —, ma è l'unicità di ciascuno che prevale e che si trasmette. Tutti i sacrifici, gli sforzi fisici e psicologici che richiede quest'arte vengono ripagati.

Come e quando avete capito che la danza oltre alla vostra passione sarebbe diventata anche la vostra professione? 
Gaia: Mia madre ha la mia stessa passione, grazie a lei mi sono avvicinata a questo mondo meraviglioso. Lei non mi ha mai spinta a farlo, anzi all'inizio era titubante, perché da insegnante di danza sapeva che, se avessi scelto la danza, sarebbe stata difficile; ma io non ho voluto sentire ragioni, a 7 anni avevo già deciso che quella strada sarebbe stata la mia strada.
Mattia: Non c'è stato un momento preciso in cui ho deciso che questa sarebbe stata la mia vita: è un fatto. La danza è cresciuta dentro di me anno dopo anno e poi arrivato al diploma, mi sono trovato ad affrontare il mondo del lavoro in teatro — come ho sempre sognato —, nel Teatro della mia città, la Scala.

Gli anni della Scuola all’Accademia Teatro alla Scala. Ricordate il giorno della vostra audizione per l’ammissione? come si è svolta? 
Gaia: Il direttore dell'Accademia Frédéric Olivieri mi vide a uno stage a Bagni di Lucca la prima volta che uscii dalla scuola di mia madre e mi propose fare l'audizione. Dopo aver convinto la mia famiglia, mi recai a Milano e sostenni l’esame: di quel giorno ricordo benissimo che misi il mio body preferito bordeaux e che ero davvero emozionata. L'insegnante che ci diede l'audizione fu Amelia Colombini, successivamente diventò la mia prima insegnante: fu la prima maestra a credere in me, poi la maestra Bėlla Račinskaja mi ha insegnato il vero significato di ballare, come lavorare duramente e dare sempre il massimo per diventare una vera ballerina. Ho concluso il mio percorso con la maestra Paola Vismara, grazie a lei e alla sua esperienza da ballerina ho imparato a ragionare come una professionista.
Mattia: La mia prima audizione è stata nel 2007, avevo dodici anni: ricordo una grande emozione e un po’ di inconsapevolezza, ma non ero spaventato. Quando ho visto il mio nome sul foglio degli ammessi, volevo raggiungere l'obbiettivo che mi ero prefissato. Quel giorno è stato per me una grande felicità!

Vi guida e vi ispira un idolo nel vostro percorso artistico e professionale? Se sì, chi e perché? È rimasto un idolo immutato oppure maturando voi stessi e comprendendo meglio voi stessi avete identificato un idolo diverso dal precedente? 
Gaia: Il mio vero idolo è Marianela Núñez [ndr: principal al Royal Opera House di Londra]: ha una capacità di danzare incredibile. A volte mi piacerebbe imitare i suoi movimenti, ma sono talmente unici e sentiti, che è quasi impossibile anche solo provarci. È una delle ballerine migliori al mondo. Poi ho un'altro idolo, maschile, ovvero Leonid Sarafanov [ndr: étoile al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo], poter ballare con lui un giorno è un mio sogno nel cassetto. Non sono stati sempre loro i miei idoli. Quando ero piccola, ero più attratta dalle doti fisiche e dalle ballerine apertissime; però, crescendo, ho perso interesse per questo, perché fin da bambina sono stata abituata a lavorare non solo col mio corpo, ma anche trasmettendo quello che ho dentro con la danza. I miei idoli attuali sono l'esempio di ciò che vorrei diventare.

Mattia, tu sei milanese e scaligero ‘con pedigree’, cioè sei nato e cresciuto a Milano, ammesso alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala al primo corso, diplomato all’ottavo e subito entrato nel Corpo di Ballo del Teatro alla Scala. Senti la mancanza di un confronto ‘con l’esterno’, cioè con metodi didattici e di lavoro di altre scuole e altri teatri? 
Mattia: Tutti questi anni di scuola di ballo li ho trascorsi nella mia città natale, da sempre speravo di rimanere qui nel mio futuro. Quando ho partecipato all'audizione per la Scala e sono stato preso, ho subito accettato! La possibilità di poter crescere nel mio Teatro è la cosa che mi stimola di più.

Gaia, tu hai sperimentato la lontananza dalla famiglia giovanissima e iniziato lo studio della danza in una scuola differente da quella del Teatro alla Scala. Come questo ha arricchito o penalizzato la tua formazione caratteriale e professionale? 
Gaia: Ho iniziato a far danza nella scuola di mia madre, che in sala mi trattava come un'allieva uguale a tutte le altre, anzi a volte mi sgridava tantissimo. Oggi la ringrazio, perché ha formato il mio carattere da ballerina e mi ha dato delle ottime basi da sviluppare e migliorare.

Per formare un danzatore serve la costanza degli esercizi fisici e tanta sensibilità artistica; ma per poter comprendere a pieno un ruolo o un personaggio e fare la differenza sul palco serve anche lo studio ‘letterario’ e ‘storico’ del balletto, come fanno gli attori. Credete sia importante? Se sì, quanto tempo dedicate allo studio individuale? 
Gaia: È importantissimo entrare nella parte, non solo da punto di vista artistico, cioè dalla capacità di comunicare col pubblico, ma anche da quello personale. A me piace entrare nella parte che devo interpretare, posso tirare fuori tutta la mia fantasia e allo stesso tempo emozionarmi e divertirmi. Quando ami quello che interpreti, il pubblico lo capisce e si emoziona a guardare.
Mattia: Noi ballerini recitiamo in scena, per questo è assolutamente importante riuscire a cogliere le sfumature caratteriali del personaggio che si sta interpretando, entrando il più a fondo possibile nella narrazione. Il pubblico deve poter percepire quello che il ballerino con movimento ed espressione vuole raccontare sul palco. Non mi è ancora capitato di dover interpretare un ruolo interpretativamente sofisticato, ma credo che per approfondire meglio oggi abbiamo a disposizione molto materiale, libri, internet, film, etc. Sarebbe ideale farsi aiutare e seguire da un ballerino con più esperienza, che abbia magari già affrontato quel ruolo, per avere un po’ di dritte in più.

Tecnica maschile e tecnica femminile: specificità, divergenze e punti di contatto. Una vostra definizione sulla base del vostro lavoro a scuola e al corpo di ballo del Teatro alla Scala. E un commento sulla situazione generale che vedete in altre realtà teatrali che conoscete o di cui avete sentore. 
Gaia e Mattia: La scuola ha il compito di formarti per il lavoro che verrà e — per nostra fortuna — siamo stati fin da piccoli abituati a lavorare al massimo per ottenere i risultati richiesti ogni anno: questo ci ha avvantaggiato poi nel passaggio in compagnia. Non tutti i ballerini hanno avuto la fortuna di frequentare un'accademia così prestigiosa come quella della Scala e oggi esistono davvero poche scuole che possono essere al pari della nostra. Anche la realtà teatrale, specialmente in Italia, è preoccupante. La Scala è l'unico teatro che può permettersi un repertorio classico così vasto, però siamo fiduciosi che la realtà del nostro paese cambi e favorisca l'arte perché col pensiero giusto si può fare molto, specialmente con tutti i teatri belli che abbiamo: sprecarli sarebbe un vero peccato.

Un sogno, un’aspirazione, un desiderio per la vostra crescita artistica e professionale individuale. Nell’immediato futuro, una breve dichiarazione sul Direttore artistico del Corpo di ballo del Teatro alla Scala, Machar Vaziev, sui vostri insegnanti attuali e sulla vostra partecipazione (ruoli, etc.) alla prossima produzione della Bella addormentata di Aleksej Ratmanskij al Teatro alla Scala. 
Gaia: Io ho due sogni che conservo fin da quando sono bambina. Un giorno, dopo aver fatto tanta esperienza, mi piacerebbe poter avere la possibilità di ballare Don Chisciotte e Giselle: sono cresciuta guardando questi due balletti. Del nostro Direttore alla Scala apprezzo questo suo modo di portare avanti i giovani e il fatto che abbia portato nuove produzioni in cartellone. Mi trovo davvero bene con tutti maîtres, perché ognuno mi sta dando tanto e grazie a loro — posso dire — che già in un anno ho fatto degli ottimi passi avanti. La Bella addormentata di Ratmaskij sarà una vera sfida per me, perché ha uno stile completamente diverso da quello di oggi: dà l'impressione di tornare ai tempi delle prime rappresentazioni di questo balletto, è tutto molto antico, ‘classico’ e ballato. Mi sono già stati affidati dei ruoli, ma non so ancora quali ballerò definitivamente. So che dovrò lavorare parecchio, ma ne sono felice, perché sarà un'occasione per migliorare tanti aspetti che ancora mancano nel mio modo di danzare.

Si ringrazia per la concessione delle foto Brescia - Amisano.


Domenico Giuseppe Muscianisi e Paola Banone
18/07/2015

SABRINA BRAZZO E ANDREA VOLPINTESTA PORTANO LA LORO COMPAGNIA A NEW YORK

Intervista a cura di Francesca Camponero

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Ospiti alla I Edizione di “Maratea in danza” per la serata del Gran Gala’ delle Stelle dell’11 luglio scorso al Parco Tarantini di Maratea , che li vedeva in compagnia anche dell’etoile Giuseppe Picone, la coppia Sabrina Brazzo e Andrea Volpintesta ci ha raccontato del suo lavoro post scaligero, dei progetti e delle aspettative che al momento sembrano soddisfarli a pieno.

Da quando sono cominciati i vostri impegni in coppia? 
E’ stato un anno sabbatico questo ai fini di seguire Sabrina – risponde Andrea Volpintesta - Nel 2012 sono iniziati i nostri impegni in coppia. Siamo stati a Rio de Jeneiro al Teatro Municipal di Roland Petit e di lì è cominciata quest’avventura. La Scala non è un punto d’arrivo, ma di partenza; l’ottima carriera che si fa lì serve da bagaglio per poi prendere la propria strada: diciamo che la Scala ci crea e poi usciamo. 

Dunque quali sono stati gli appuntamenti importanti di questi anni? 
Senza dubbio quello di Rio che poi ha creato tutto il resto.

Sappiamo che avete formato un gruppo. Quando è nata quest’idea? 
Il gruppo è nato per il nostro volere di sperimentare di più e togliersi dal solito repertorio. Ad oggi la danza classica va vista con ottica moderna per avvicinare anche il grande pubblico al balletto – risponde la Brazzo - Certo bisogna sempre iniziare dal teatro serio per condurre la gente in un percorso di conoscenza nuovo e il nostro gruppo è senza dubbio di formazione “seria”. Si chiama JAS ART BALLET ed ha sede a Milano ai Navigli. Il nostro maitre de ballet è Marco Pierin , mentre Massimo Volpini è il coreografo residente che traduce le nostre idee.

Cosa produce questo nuovo gruppo e da chi è sovvenzionato? 
Il nostro gruppo è al servizio dei privati che sono poi i nostri sponsor. Case di moda contattano Sabrina- spiega Andrea- e da qui ci troviamo a creare nuovi accostamenti che vogliono la danza, la musica e il canto vicino alla moda. Abbiamo lavorato per Tombolini, Lacoste, Linea Pelle. Operazioni commerciali, certo, che però permettono di dar vita a delle belle produzioni e far conoscere sempre di più il nostro lavoro.

Cosa pensate di costruire con questo gruppo, una vera e propria compagnia? 
Beh, in effetti il gruppo si può definire una compagnia vera e propria, costituita da professionisti, giovani dai 18 ai 30 anni per la maggior parte usciti dall’Accademia della Scala che non li ha inseriti dentro l’organico del corpo di ballo e che quindi con noi continuano a danzare ad alto livello. Non a caso ci chiamano “la succursale della Scala”- afferma sorridendo la Brazzo - Noi da questi giovani talenti tiriamo fuori il meglio. Loro ci sostengono e noi da loro attingiamo l’energia e la voglia di fare.

E riguardo al vostro imminente viaggio a new York?
Affrontiamo la Grande Mela con lo spettacolo “Il mantello di pelle di drago” che sarà il 20 luglio al Alice Tully Hall al Lincoln Center. L’evento è sovvenzionato da uno sponsor privato ed è organizzato da Linea Pelle in collaborazione con Milano Expo. I meravigliosi costumi sono di Erika Carretta. Con noi partecipa anche il solista della scala Maurizio Licitra, e poi i giovani Luigi Campa, Stefania Mancini, Filippo Valmorbida. Questo di New York è senza dubbio un punto di partenza che ci porterà a seguire in Cina e a Parigi.

E come vi organizzate con il vostro bimbo? 
Joseph viene sempre con noi - risponde la mamma Sabrina- ed è il nostro critico più spietato.

Si ringrazia per la concessione delle foto Francesca Camponero.

Francesca Camponero
18/06/2015

Francesco Pergolizzi - Art'è Ballet saggio di danza

Auditorium San Luigi - Canegrate


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Abbiamo intervistato Francesco Pergolizzi il direttore artistico della Scuola di danza Art'è Ballet venerdi' 5 giugno 2015 presso l'Auditorium San Luigi di Canegrate.
Ringraziamo lo staff di Art'è Ballet per aver ospitato dal mese di gennaio 2015 la Compagnia Dreamtime sezione Legnano nei locali della loro scuola a San Giorgio sul Legnano.
Un ringraziamento particolare all'insegnante e ballerina Martina Luca, per la sua collaborazione nel corso di "danza per tutti" Metodo Dreamtime alla quale abbiamo assegnato una Borsa di Studio nella Residenza Artistica al Festival di Avignone dal 10 al 19 luglio 2015.

Si ringrazia per le riprese e il montaggio Franco Covi photographer.



Paola Banone
15/06/2015

Le Avventure di Don Chisciotte - Teatro Carcano

Saggio degli allievi del Teatro Oscar Danza Teatro


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Venerdì 22 maggio 2015 si è concluso l’anno di studio degli allievi del Teatro Oscar di Milano, diretto da Monica Cagnani. La direzione con le maestre della Scuola del Teatro Oscar ha deciso di presentare una versione rivisitata del Don Chisciotte sulle stesse musiche di Léon Minkus del balletto originale e di far danzare tutti gli allievi, dalle piccoline dei corsi di ludodanza e propedeutica ai corsi accademici. Agli allievi di danza si sono aggiunti alcuni allievi dell’annessa scuola di recitazione del Teatro Oscar per i ruoli mimici di Don Chisciotte, Sancho Panza, il capo dei gitani, un menestrello (narratore esterno nella drammaturgia dello spettacolo) e persino un acrobata sui trampoli per inscenare il mulino a vento che nella visione di Don Chisciotte prende vita e diventa un nemico da combattere. Il saggio di fine anno è andato in scena presso il Teatro Carcano di Milano e noi — i giovani — di «Dreamtime Magazine» eravamo dislocati per goderci lo spettacolo da più punti di vista: Alex sugli spalti a fotografare e riprendere la videointervista, Elisa dietro le quinte a raccogliere le emozioni degli allievi e della direttrice artistica per la videointervista, Domenico in platea a sentire i commenti dei genitori e ospiti degli allievi e vedere la rappresentazione come pubblico. Lo spettacolo è molto piaciuto al pubblico di venerdì sera. Sono stati tutti soddisfatti di vedere i figli e gli amici sul palco. Le Avventure di Don Chisciotte sono state seguite con attenzione anche da chi — per sua stessa ammissione — il balletto non lo conosce, né lo segue costantemente. Da cosa si è capito? Dal fatto che la sala è stata in grado di percepire le emozioni degli allievi sul palco, incoraggiando con un applauso quando serviva, sorridendo nelle scene mimiche di Sancho Panza senza però interrompere mai la recita con eccesso o scostanza. Bella è stata la scenografia, completa e particolareggiata, attenta la scelta dei costumi nella variazione cromatica in armonia. In bocca al lupo per il prossimo anno di studio e arrivederci al prossimo spettacolo!

Si ringraziano per le riprese Alex Pierre e per il montaggio Franco Covi.




La redazione
17/12/2014

Intervista all'artista Giacomo Curti

Un uomo e una storia molto bella.

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Giacomo Curti e' tornato in scena venerdì 12 Dicembre 2014 alle ore 20.30 al DAF/Lanificio 159, Via di Pietralata 159 per lo spettacolo AFFARI DI FAMIGLIA dei Fuori Contesto, all'interno di FUORI POSTO. FESTIVAL DI TEATRI AL LIMITE.
Si ringrazia per la concessione delle foto Maria Cardamone.

Giacomo, puoi raccontarci brevemente la tua storia?
Mi chiamo Giacomo Curti, sono nato a Torino il 12 ottobre 1977, città nella quale ho vissuto sino al 1985, per poi trasferirmi a Roma con la mia famiglia, dove attualmente sono occupato nel settore della comunicazione pubblicitaria. La mia condizione di disabilità, una paraplegia in forma congenita, nonostante le ben comprensibili forti difficoltà non è stata comunque motivo, nel corso degli anni, di lassismo e rassegnazione da parte dei miei familiari. Ho imparato così, ben presto, a misurare il mio handicap e il mio grado di autonomia, attraverso i mezzi a me necessari per superarlo con concretezza. Ricordo come il mio inserimento scolastico abbia seguito percorsi di inclusione extracurriculari che mi hanno impegnato in attività di espressione corporea inerenti la danza. Parallelamente il mio impegno in discipline sportive, quali il basket in carrozzina, il nuoto, il tiro con l'arco e lo sci, che mi hanno dato la possibilità di misurare e accrescere le mie potenzialità circa l'autonomia personale in riferimento alla mia condizione di disabilità. Altro elemento formativo importante è stato il mio inserimento in attività scoutistica che, a partire dal 1986 e per i successivi dodici anni, mi ha visto coinvolto in un processo di formazione che con progressivo e crescente impegno mi ha permesso con consapevolezza, la condivisione dei valori del metodo educativo. Le costanti occasioni di attività comunitaria, mi hanno permesso di essere coinvolto in molteplici attività di animazione ed espressione, le quali sono state così per me motivo di entusiasmo. Ho scoperto nell'applicarmi alla fotografia, intense possibilità espressive, e in tempi successivi, senza alcun dubbio anche per merito di motivazioni trasmesse da mia madre, ho iniziato a interessarmi ad altre discipline artistiche quali il cinema, la musica e la pittura.

Quando hai scoperto il teatro?

Il mio appassionarmi alla pratica teatrale, nel periodo del quinquennio di scuola superiore coincide con la partecipazione ad un laboratorio teatrale condotto da un attore professionista, che mi ha permesso di acquisire una maggiore e decisiva consapevolezza circa le mie potenzialità espressive. Passo successivo, quasi in conclusione del mio percorso scolastico, è stato l'inserimento nelle attività del laboratorio teatrale integrato “Piero Gabrielli” che opera sotto l'egida del teatro di Roma. Un percorso che nel corso degli undici anni di frequentazione mi ha dato modo di poter concepire e sviluppare una progressiva e rinnovata ricerca inerente le mie fisicità in relazione alla necessità di utilizzo della sedia a rotelle , elemento determinante nella mia autonomia di spostamento. Parallelamente ho frequentato un workshop condotto dall'attore Danio Manfredini e successivamente ho incontrato la compagnia Accademia degli Artefatti per un progetto teatrale svoltosi al palazzo delle Esposizione di Roma nel 2001. Sono state due esperienze che mi hanno fornito ulteriori elementi per proseguire il mio percorso attoriale.

Quali sono stati i momenti successivi?
Con un'attrice dell'Accademia ho preso parte ad un progetto coordinato dal mio municipio di residenza in qualità di attore e come figura di riferimento della conduzione. Ulteriore stimolo, sempre in rapporto al Teatro di Roma, è stata quindi l'opportunità di essere coinvolto sul piano professionale in due progetti di produzione teatrale nel periodo 2007-2010, rispettivamente con la conduzione e regia di Marco Baliani e Ninni Bruschetta. Esperienze queste che concretamente hanno contribuito a farmi acquisire una competenza e autonomia nella qualità della proposta in ambito artistico, senza alcun dubbio progredita ed affinata nei contenuti relativi alla disciplina e conseguentemente nella restituzione scenica. A partire dal 2010 ho così avuto modo di riprendere il mio rapporto nei progetti previsti dal mio municipio di residenza, avendo l'opportunità di essere a mia volta professionalmente occupato in qualità di responsabile e conduttore delle attività laboratoriali in riferimento al settore teatro. É nello stesso periodo che nasce in me l'interesse e quindi il lavoro di ricerca allo scopo di sperimentare ed acquisire ulteriori competenze attraverso l'espressione corporea e coreografica. Ho trovato così che la danceability, una tecnica di danza integrata codificata dal coreografo Alito Alessi, e il teatrodanza in genere, potessero essere delle interessanti e concrete possibilità per progredire.

Quali sono le collaborazioni recenti?
Ultime in ordine cronologico sono le mie collaborazioni con le compagnie DMA teatrodanza e FuoriContesto, oltrechè la partecipazione ad un progetto di danza integrata svoltosi lo scorso anno a cura dell'Accademia di Spagna a Roma. 

Dall'8 al 13 dicembre e' tornato a Roma il Festival Fuori Posto. Festival di Teatri al Limite. Sei stato in scena con la Compagnia FuoriContesto, cosa ci racconti? 
La Compagnia FuoriContesto è costituita da Emilia Martinelli, Tiziana Scrocca e Marco Ubaldi. Lo spettacolo che porteremo in scena è “Affari di Famiglia”, finalista per miglior testo e migliore attrice ai premi Ecce Dominae e Theatragon 2014, che narra le storie di sei donne segnate, ognuna, da una relazione in cerca di equilibrio. I relativi legami che alternativamente si allentano o si stringono, senza comunque sciogliersi, indagano la realtà di esistenze che con tutta la fragilità che avvolge le rispettive vite, sono alla ricerca di un modo per esistere e resistere ai pregiudizi. Un focus sul rapporto di relazione tra una madre e il proprio figlio disabile in tutta la sua evoluzione.

Salvina Elisa Cutuli